Piacere, Letizia!

Se vuoi sapere qualcosa in più su di me, qui sei nel posto giusto!

Parlare di me è sempre stato complicato, non so mai da dove partire.
Facciamo un rewind: mi piace immaginare la vita come una sorta di puzzle, in cui ogni pezzetto aggiunge valore agli altri e piano piano compone un disegno più definito. Alla mia veneranda età di 27 anni i pezzi più importanti di questo puzzle direi che sono cinque, raccontandoteli forse capirai qualcosa in più su di me.

Scopri i pezzi del mio puzzle:

"Fai quello che puoi, nel posto in cui sei, con quello che hai." - T. Roosevelt

Sono cresciuta nella grigia Pianura Padana, in un paese poco distante da Milano. Per indole e anche un po’ per genetica, pur amando la compagnia delle persone, per sopravvivere ho bisogno di spazi aperti, lunghe distese verdi, colline e natura. Mettetemi al centro di piazza Duomo e sono in grado di impazzire dopo 15 min!

Per questo è sempre stata una relazione complicata, quella tra me e Milano: è la città in cui sono nata e cresciuta ma è anche quella in cui mi sono sempre sentita stretta, in cui ho capito dove NON voglio vivere: non sopporto il caos, lo smog, la nebbia invernale, lo stress che si percepisce ovunque già alle 7 di mattina, non sopporto la vita di corsa e soprattutto la sensazione che il tempo non sia mai abbastanza. Andiamo, com’è possibile sopportare gli sbuffi delle persone appena svegli?

E, strano a dirsi, per questo devo anche ringraziarla: mi ha insegnato ad amare, ancora di più, tutto il suo contrario e la prima cosa che ho capito è proprio che i suoi tentativi di tenermi qua non basteranno mai. Ad oggi sogno la Val d’Orcia o il Chianti, in Toscana, come luogo da chiamare “casa”.

Ho avuto un’infanzia felice, e un’adolescenza un po’ meno serena: la prima decisione importante della mia vita non l’ho presa io, lo hanno fatto per me quando avevo 15 anni (ma questa è un’altra storia). Da allora sono sempre fuggita dalle decisioni. Puntualmente, ogni volta che sceglievo di andare a destra, poco dopo tornavo indietro per andare a sinistra con la coda tra le gambe.

La mia più grande difficoltà era lasciare andare. Poi mi hanno insegnato che amare vuol dire anche questo.
L’ho imparato per la prima volta quando mia nonna se ne è andata mentre le tenevo la mano, mentre pregavo che rimanesse con me ancora un po’ e l’ho imparato quando l’anno dopo ho avuto il coraggio di chiudere un capitolo importante della mia vita, un amore di quelli che sembrano eterni ma che ad un certo punto diventano così inspiegabilmente complicati e difficili da vivere.

Il Primo Passo

E’ stato solo qualche tempo fa, anche grazie ad un percorso di psicoterapia, che ho capito come si faceva a prendere una decisione e ad accettarne le conseguenze. Proprio come una bambina alle prime lezioni di scuola ho dato un nome a quello che era successo gli anni precedenti – disturbo post-traumatico da stress – ho capito di soffrire di depressione e ho cominciato a conoscere me stessa e come funzionava il mondo intorno. Finalmente ho iniziato ad apprezzare il bello di questa assurda vita.

Ed ecco il primo pezzetto del mio puzzle: la psicoterapia. Uno di quei tabù ancora troppo presenti e resistenti nella nostra società, che però a me ha salvato la vita.

Con una tecnica chiamata EMDR ho finalmente metabolizzato e superato quegli eventi che avevano segnato la mia intera adolescenza e confinato tutto il mio mondo dentro 4 mura da cui non riuscivo ad uscire. Ho imparato a conoscermi, rispettarmi e accettarmi con pregi, difetti, limiti e finalmente ho iniziato a capire quale fosse il tipo di persona che volevo essere.

Non è stato facile, cavolo se non lo è stato! A volte avrei voluto gettare la spugna ma ringrazio quella parte di me che mi ha spinta ad andare avanti, a non mollare e che mi ha portata esattamente dove sono oggi.

Il Secondo, i cavalli

Secondo tassello del puzzle? Sicuramente i cavalli.
Da quando avevo 8 anni osservo il mondo da una sella, e quando per la prima volta sono salita su Asia, la cavalla che ho incontrato in un giorno di Luglio del 2011, nel bel mezzo della campagna toscana, ho conosciuto la libertà. Per me libertà è la criniera che si muove col vento, è lo scalpitare degli zoccoli a terra, è il respiro affannoso del cavallo che freme dalla voglia di correre, è l’aria che mi scompiglia i capelli e l’adrenalina che sale mentre sfreccio in un prato o nel bosco. Libertà è sapere che sulla groppa di quel cavallo potrei andare ovunque e nessuno potrebbe fermarmi. Lei e il suo puledro, che ormai ha 7 anni, hanno dato un senso e un sapore diverso alla mia esistenza, sono sempre stati la mia “isola felice”, il mio rifugio quando tutto il resto sembrava soffocarmi.

Poi il 13 Giugno 2020, ho dovuto prendere la decisione più difficile della mia vita: quella di lasciare andare Asia. Il dolore nel dover decidere di mettere fine alle sue sofferenze è impossibile da quantificare. Il senso di colpa lacerante è inevitabile ma la speranza di aver preso la decisione giusta per lei un po’ mi consola. E’ stata molto più di un cavallo, è stata un’amica, la mia àncora di salvezza, il mio angelo bianco per 9 anni, che ora mi sembrano un battito d’ali.
Lasciarla andare ha lasciato un vuoto abissale dentro di me ma prima o poi so che quel vuoto  lascerà posto ai bei ricordi, che mi accompagneranno sempre, insieme alla gratitudine per quello che mi ha dato. Una parte di lei, grazie a Byron, suo figlio, sarà sempre con me.

Averla affianco mi ha insegnato che non è vero che le migliori storie d’amore sono per forza tra umani, lei resterà sempre l’amore più grande che abbia conosciuto, ci siamo salvate a vicenda.

Il Terzo Componente

Amare è anche lasciare andare al momento giusto, e saper lasciare andare è anche saper amare.

Il terzo componente di questo complicato puzzle si è aggiunto nel Settembre 2018.
Uno dei miei più grandi desideri è sempre stato quello di fare un’esperienza di volontariato all’estero, non fosse che la paura mi ha sempre un po’ frenata. E se non fossi stata all’altezza? Se non avessi saputo cavarmela? Se fossi stata troppo sensibile per quello che avrei trovato? Se non fossi riuscita a dare il mio contributo? Insomma, me la facevo sotto!
Eppure nel 2018 ho compilato l’application con Project for People per un viaggio di un mese a Kolkata, in India, senza grandi speranze di essere accettata: la solita pessimista!
E invece, in un giorno di primavera apparentemente uguale a tutti gli altri, quella mail è arrivata. Ero stata presa. Così mi sono trovata davanti alla fatidica domanda: parto o non parto? Nel giro di un pomeriggio la decisione era ovvia e il 24 Agosto ero su un aereo che mi avrebbe portata ad 8000km di distanza.

E’ stato il mese più incredibile della mia vita: vi dico solo che ad una settimana dal mio ritorno ho capito che in realtà avevo ricevuto molto più di quanto non avessi dato io e ho imparato più di quanto non avessi fatto in 24 anni di vita o sui banchi di scuola. Ho scoperto che qui fuori esiste un mondo completamente diverso dal mio. L’India è un paese caotico, inquinato, sporco, povero. O lo odi o lo ami alla follia.
Dopo quei 35 giorni non vedevo l’ora di tornare a casa, fare una doccia calda e dormire in un letto pulito, ma soprattutto non vedevo l’ora di mangiare un piatto di pasta al sugo. Eppure, dopo solo una settimana a Milano, avrei dato qualsiasi cosa per tornare là, perchè la verità è che niente di materiale potrà mai darci la vera felicità.

 Tutto ciò che il mondo occidentale ci ha insegnato è riempire i nostri vuoti con cose materiali, vestiti nuovi, macchine di lusso, arredamenti da urlo e cibo a non finire, un consumismo sfrenato che non fa altro che urlarci “la felicità è là fuori”. Bè, quello che questa esperienza mi ha fatto scoprire è che la vera felicità è dentro di noi, non negli oggetti di cui ci circondiamo. Così quello che mi sono portata dietro da quel viaggio è stata la sensazione di aver sempre rincorso la felicità nella direzione sbagliata.

Il Quarto Step

E ora, andiamo avanti con questo puzzle: il quarto pezzettino è dato sicuramente dall’Università che ho scelto.

Sei anni fa ho deciso di iniziare Medicina e Chirurgia (quando mai!) e quello è stato l’obiettivo più lungo che mi sono mai posta. Le motivazioni di allora non sono le stesse di oggi, questo percorso mi ha plasmata e fatta ricredere su tanti aspetti di me stessa, mi ha cambiata e resa più consapevole dei valori in cui credo e che voglio seguire. Mi ricordo ancora il primo giorno del corso di Biologia, al primo anno. La professoressa ci disse una frase che, da allora, è appesa sulla parete di fronte alla mia scrivania:

“Dovete rispondere alle vostre aspettative, non a quelle degli altri.”

Come mi ha colpita all’inizio mi ha poi sempre accompagnata negli anni seguenti, in cui ho vissuto in un ambiente dove la competizione è sempre stata percepibile nell’aria e ad ogni angolo c’era qualcuno pronto a dirti che non ce l’avresti fatta, che non eri tagliato per quel lavoro e che avresti fatto meglio a mollare. Però, proprio come disse lei, i primi giudici di noi stessi siamo proprio noi. A chi dovremmo rispondere dei nostri errori e dei nostri successi se non alla nostra persona per prima?

Quante volte ci hanno detto “stai sbagliando”, “non sei abbastanza bravo/a”, “non sei abbastanza intelligente”, “non ce la farai”, “forse faresti meglio a fare qualcos’altro”, “non ti stai comportando bene”, “non sei in grado” etc. Tutte frasi spesso fini a se stesse ma che ci scalfiscono piano piano, rendendoci insicuri e sempre più vulnerabili, spezzandoci poco alla volta.

 Imparare a credere in noi stessi e rispettarci è una lezione che si impara in moltissimo tempo e con tanto lavoro, ma è l’unica lezione che vale la pena di imparare davvero, l’unica cosa che ci permetterà di sentirci delle persone realizzate, uniche e felici.

Il Quinto, l'Amore per la Terra

Ad oggi non sono sicura che il medico clinico sia quello che voglio essere, sto cercando di prendermi il tempo che mi serve per capire chi sono e “cosa voglio fare da grande”. Si, so che ho comunque 27 anni ma sono convinta che in qualsiasi momento si è sempre in tempo per cambiare direzione. Alla fine la vita è una e non ha senso sprecarla facendo qualcosa che non rispecchia chi siamo e quelli che sono i nostri valori. Ma nessun pentimento, ovunque questa ci porti sarà sempre un insegnamento e un arricchimento.

Ora so che a questo tassello voglio riuscire ad unire il quinto: l’amore per la Terra.

Avendo vissuto a contatto con animali e natura negli anni ho cominciato un periodo di formazione e informazione per aumentare la mia consapevolezza del mondo che ci circonda. Quello di cui mi sono resa conto è che di cose da cambiare, in questo pianeta, ce ne è solo una: siamo proprio noi “Sapiens”, da sempre affetti da un egocentrismo che ci ha portato a pensare di avere ai nostri piedi un pianeta intero.
Abbiamo sempre creduto che le nostre capacità e abilità “superiori” fossero un lasciapassare per qualsiasi cosa, che tutto ci fosse dovuto a prescindere da quello che (non) davamo in cambio. Abbiamo creato un tipo di società in cui regnano disuguaglianze e discriminazioni di razza, genere, religione e ricchezza, in cui la nostra apparente superiorità ci induce a pensare di poter esercitare forza e violenza su chi è più debole di noi – se vogliamo usare questo termine.

Non esiste altra specie che abbia danneggiato allo stesso modo la Terra su cui viviamo, che abbia sporcato, bruciato, e devastato l’ambiente allo stesso modo. D’altra parte non esiste neanche una specie con le nostre potenzialità e col potere di modificare l’andamento di questo mondo. Ma le stiamo usando nel modo giusto? Direi di no.

Vorrei che ognuno si guardasse intorno con occhio critico, si chiedesse cosa non va e provasse a cambiarlo, senza aspettare che lo faccia prima qualcun altro. Nessuno è perfetto ma sfruttare le capacità che abbiamo nel modo giusto è una nostra responsabilità, nonché un dovere.

Provare a cambiare le cose è forse la mia più grande missione di vita. Io sono una, e da sola son solo una goccia nel mare, non posso fare una grande differenza. Però insieme siamo tanti, tanti cuori che battono allo stesso ritmo e tanti cervelli che possono muoversi nella stessa direzione. E così si, possiamo fare la differenza. E’ una speranza utopistica? Può essere, ma cosa siamo senza speranza? e allora, dopo aver parlato di fallimenti e successi, io voglio provarci, e sono disposta anche a fallire per quello in cui credo.